«Sono nato in una casetta come quelle che si disegnano all’asilo: tre finestre e una porta».
“La prima frase di Per un’ autobiografia, il racconto che apre Mio padre l’ ariete, introduce l’ immagine di una casa disegnata da un bambino. Una casualità? Forse no: perché Zigaina, rievocando «l’intensa collaborazione» con De Carlo, ha dichiarato la propria «radicata e inconscia convinzione che un uomo – non solo un artista – la casa, deve disegnarsela da solo: magari con le difficoltà e la leggerezza con cui un uccello si fa il nido».
Una persuasione causa di «incertezze»; ma anche una fonte di stupore:
soprattutto quando Zigaina, senza la presenza di De Carlo e in collaborazione con Ado Buiatti, ha sviluppato l’ organismo della propria casa con alcune unità esterne, quali la nuova rimessa e la foresteria. «Fu un gioco bellissimo: l’inveramento di un sogno fatto molte volte, da bambino».
La descrizione di Casa Zigaina (1957-58), al di là dei valori formali e strutturali, non può quindi prescindere da questo aspetto: la dialettica tra il pensiero dell’architetto e le esigenze del committente.
«Lo sforzo interpretativo (delle mie necessità, del paesaggio e delle tradizioni costruttive della mia terra) non fu facile. Devo dire, tuttavia, che l’esperimento riuscì». Il risultato fu una casa composta da cellule, ognuna a pianta ottogonale, articolate in due bracci disposti a L: da un lato lo studio del pittore rivolto a nord; dall’altro la successione di cucina, sala da pranzo, soggiorno e zona letto.
L’unità è garantita dall’uniforme copertura in tegole, mentre il segno della tradizione si fa evidente nel soggiorno: dove il pavimento, in legno, si abbassa intorno alla cappa del fogolâr. E’ un dialogo tra tradizione e modernità: un tema che sarà centrale nel successivo pensiero di De Carlo”.
Testo tratto da “La guida storico-artistica di Cervignano del Friuli” situata nel sito del Comune di Cervignano del Friuli.