Un termine non è altro che un manufatto in pietra o in cemento, ma a volte può essere anche una roccia o un tronco d’albero, posizionato sul territorio ad indicare che lì finisce una nazione e ne comincia un’altra. Ogni manufatto con questa funzione ha delle caratteristiche comuni.
Ogni manufatto riporta un numero di una o più cifre preceduto dalla lettera N più una lettera o un numero più piccoli che distinguono i termini secondari.
Un secondo elemento caratteristico è la scritta, bifronte che riporta il nome delle due nazioni che divide. Nei termini jalmicchesi su un lato c’è l’indicazione Italia, su quello opposto Austria.
In basso, sotto alla scritta, vediamo un numero di 4 cifre. Rappresenta il millesimo, ovvero l’anno del trattato o della stipula del verbale di confinazione. Per quanto riguarda i nostri cippi, l’anno che vediamo con più frequenza è il 1911.
Il confine del 1866 (dopo la terza guerra di indipendenza quando l’Italia, ormai unita, annetté Veneto e Friuli) fu soggetto a sue revisioni, la prima nel 1887 e la seconda nel 1911-12. Queste portarono alla soluzione di molte divergenze ma fu proprio quest’ultima che portò alla posa di un rilevante numero di termini.
Questi piccoli monumenti possono avere fogge diverse secondo il periodo al quale appartengono.
Vediamo che entrambe queste pietre riportano il n° progressivo 42 ed in effetti anche geograficamente non sono poste molto distanti l’una dall’altra.Termine tipo 4c
La prima è costruita in pietra dura. Definita dagli storici del tipo 3c, è alta circa un metro, ha la base di 20X30 cm. La parte superiore a volete può essere semicircolare. Appartengono al periodo di confinazione 1815-1866.
Questo secondo tipo di termine, definito 4c. Appartiene alla revisione del confine del 1911-12. Questi manufatti costruiti in cemento armato sono stati posizionati sul territorio per volere della Commissione Internazionale. Hanno una forma regolare perché sono stati costruiti utilizzando degli stampi. Li troviamo in tre forma diverse: il tipo speciale, alto 2 metri e il tipo “normale” alto un metro e mezzo per i punti principali, il tipo “nano” alto circa 90 cm per indicare i punti intermedi. Quest’ultimo, proprio per il suo uso, è quello che notiamo più di frequente nelle campagne jalmicchesi.
Le cartine proposte sono tratte dal testo “Antichi termini confinari del Friuli” della Del Bianco Editore
Nella cartina è rappresentato il confine prima della fine della prima guerra mondiale. E’ un confine che si sviluppa zigzagando in una campagna priva di ostacoli naturali.
Il confine friulano ha subito, tra il 1521 e il 1759, ben 10 rinnovamenti confinari.
Ma perché Jalmicco è importante nell’analisi di questi cippi?
La massima concentrazione di queste pietre la si ha proprio nell’ex Comune Censuario di Jalmicco ed è dovuta all’assurdità della linea di confine che stanno a rappresentare. In un tratto lungo meno di quattro chilometri e mezzo troviamo i termini compresi dal n° 26 al n°43.
Jalmicco infatti viene definita dagli studiosi come “capitale” dei termini di confine, proprio perché la confinazione è zigzagante e senza senso. Per questo motivo ha richiesto un numero altissimo di pietre confinarie per delimitare le aree di competenza.
La definizione comune censuario apparteneva a quelle località di confine nelle quali veniva svolta attività di dogana. Venivano censite le merci in transito (da qui la definizione censuario) per fare in modo di calcolare l’ammontare della GABELLA (dazio).
Come sappiamo il territorio, pianeggiante e servito da strade comunali e interpoderali, ben si presta a questa riscoperta anche se, spesso, è necessario aguzzare lo sguardo per trovare questi piccoli monumenti nascosti oppure cercare di avventurarci alla ricerca di queste pietre nei momenti di maggior lavoro nei campi. E’ facile trovare chi, dall’alto di un trattore, ti indica in un batter d’occhio ciò che stai cercando.
Le pietre di confine rappresentano un bene che, purtroppo, è quasi sconosciuto da chi non lavora la campagna oppure non è uno storico. Non sono tutelate dalle amministrazioni locali e nazionali ed è per questo che dobbiamo prendere atto che si tratta di testimonianze che vanno rivalutate e rispettate dalla collettività.
Testo e foto di G. Mattalone
Per le cartine si ringrazia Del Bianco Editore